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La V7 700 Rossa di Kranz

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La V7 700 Rossa di Kranz
La V7 700 Rossa di Kranz - Parte 2
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La strada che mi ha portato alla V7 comincia...con un trattore Landini Testacalda.
A quei tempi non ero più un ragazzino ma un bel giorno decisi che non mi sarei più dovuto privare del caratteristico rumore che aveva accompagnato la mia infanzia quando, nell'afa delle giornate estive, assieme alle cicale si sentiva, vicino oppure lontano anche qualche chilometro, il pum-pum-pum dei trattori Testacalda che, appostati sugli argini, pompavano l'acqua.
Un rumore che da una trentina d'anni non sentivo più. Così mi procurai un trattore Landini L25, divertentissimo anche per giocare a fare il meccanico coi bambini. Dal grosso volano esterno del Landini, a quello di una Guzzi 500 "bitubo" il passo fu (o mi sembrò) breve. Quello fu il mio primo amore motociclistico. I miei famigliari cominciavano ad essere un po'perplessi: non capivano queste mie strane metamorfosi tardive anche perchè le due occupazioni -moto e trattore- occupavano molto, anche troppo del mio tempo libero.
Quando poi il numero delle moto in casa cominciò ad aumentare, la cosa si fece preoccupante. Man mano che mi appassionavo alla Guzzi ne volevo anche capire la storia e l'evoluzione, e provare le sensazioni che prova chi la moto l'ha sotto il sedere, la usa, la smonta, ci guarda dentro.
Solo Guzzi però: perchè, per qualche misterioso motivo, è come se la Guzzi in casa mia fosse di famiglia da sempre. Sarà che da bambino mio padre mi faceva fare il giro del cantiere seduto sul serbatoio dell'Ercole. Resta il fatto che in poco tempo passai da una Breva (per provare una Guzzi moderna), a una 850 T3, finchè mi capitò in mano il libro "bicilindrici a V manuale di officina" di M. Colombo, in cui nell'introduzione si fa una breve storia del bicilindrico di Mandello.
La V7, che da ragazzo mi aveva affascinato (perchè era la moto più grossa di tutte) da adulto invece non mi attirava granchè. Ad eccezione di quella, rossa, della foto in copertina.

 

1pic

 

Di quella mi piacevano il colore e la linea un pò "retrò", con la sella "mono" come usava una volta.Era, praticamente, una V7 "Polstrada" dipinta di rosso. Finchè un giorno trovai questa inserzione: "Vendo Moto Guzzi V7 Rossa del '74, modello originariamente prodotto per la Polstrada", e poi venduto sul mercato civile.Non c'era la foto, ma doveva essere come quella vista sul manuale di officina! Mi misi in contatto. La foto che ricevetti era questa:

 

2

 

Era un po' diversa da come la immaginavo, ma ormai era scattato quel misterioso interruttore cerebrale: adesso mi interessava, e la sua storia mi incuriosiva.
La moto era di una giovane coppia, più precisamente: di lei. Qualche anno prima erano andati apposta da Torino al mercatino di Imola per comprare una moto che, pur senza spendere troppo, fosse robusta e affidabile per consentire viaggi anche lunghi. Videro quella V7 rossa esposta in vendita dal precedente proprietario, un anziano calabrese. Anche la ragazza era calabrese, e questo fatto contribuì alla scelta.
Dopo qualche lungo viaggio però la nascita di un bimbo costrinse la coppia a rivendere la 700 Rossa. Vista "dal vivo" era diversa anche dalla foto: appoggiata sulle ruote sgonfie in un angolo del garage, sembrava una bestia rassegnata al suo destino, ma molto "umana" e accattivante.

 

Rispetto alle classiche V7 700 aveva il carter motore nervato, il freno anteriore a quattro ganasce e la coppia conica posteriore come quelli dell'850 GT.
Anche dopo ripetuti tentativi non riuscimmo ad avviarla, comunque la caricai sul mio camioncino e la portai a casa. Non ero più un "novizio" di moto, e avevo anche un meccanico fidato. D'accordo con lui, che non voleva tenersi un "cadavere" smontato in officina per tempi biblici, decisi di fare io tutta la parte dello smontaggio, rimontaggio e preparazione dei pezzi da cromare e verniciare, lasciando a lui un compito specifico: la revisione del gruppo cardano-trasmissione e successivo rimontaggio nel telaio.
Se il motore o il cambio avessero mostrato problemi, glie li avrei portati già smontati. Era non tanto per risparmiare sulla manodopera, quanto per accelerare i tempi del restauro (che, per un lavoro radicale, richiedono di tenere la moto ferma anche sei mesi/un anno lontano dagli occhi e lontano dal cuore).
Il cassone del camioncino fu la mia officina, con la seccatura di dover sbaraccare il tutto ad ogni necessità di uso del mezzo. Cominciai col provare la moto per un mesetto (senza la sella, di cui nel frattempo aspettavo la ricopertura). Senza sella e senza parafango, faceva un'impressione totalmente diversa.

 



 
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